Miniera di Monteleone di Spoleto
a
cura di Patrizia Penazzi
(tratto da Miscellanea – “Delle Miniere di Ferro
nello Stato Pontificio”) |
“Deve
in essa ravvisarsi la più celebre ed una delle più
fruttuose di quelle dello Stato Pontificio; mentre è da numerare
ancora tra le riguardevoli dell’Italia.
Al Pontefice Urbano VIII si volle attribuire la gloria di
averla ritrovata ed aperta nell’anno 1641, e come di
fatto segnalato e memorabile se ne batterono due medaglie,
dell’una delle quali poniamo in luce l’incisione
nella tavola annessa a dichiarazione ed ornamento del soggetto.
Grandi probabilità inducono però a credere,
che le primitive escavazioni a riferire si abbiano agli antichi
abitatori di queste contrade, e che si riprendessero ancora
nei tempi di mezzo. Può ben attribuirsi a l’esser
stata il luogo avuto sempre per miniera, il trovarlo appartenere
per diretto dominio alla sede apostolica della Casa Orsini;
l’altro è di dichiarazione d’esser Monteleone
bene feudale di detta camera e non allodiale degli Orsini.
Ma qualunque cosa si voglia di ciò credere, degno sempre
di grande encomio si chiamerà Urbano VIII per aver provveduto
all’attivazione di questa miniera schiudendo allo stao una
nuova sorgente di utilità.
Vi spedì esso ottimi artefici, ordinò lavori
grandiosi, aprì una strada rotabile propria della miniera;
eresse dalle fondamenta un opificio, secondo le cognizioni
di quei tempi perfetto. In esso si eseguivano in appositi
locali le operazioni dello abbrustolir la miniera, del successivo
lavarla, e finalmente fonderla.
Per dare al Forno la quantità d’acqua atta a
produrre il vento necessario ordinò il Pontefice che
fosse deviata una parte del fiume Corno, che scendendo dalle
montagne di Leonessa, accresciuto di molte sorgenti d’acqua
e scoli di monte, scorre per la valle di Monteleone. Pertanto
innalzato dal letto del Fiume un solido mutamento, (lo chiama
“parata”) e arrestando il corso, venne esso astretto
a sollevarsi sino all’altezza dov’era costruito
il canale per ricevere e portare al forno l’acqua così
derivata.
Questi lavori che ottennero tutto lo scopo che si voleva conseguire
con essi, durarono tre anni ad essere compiuti, e ne fu scolpita
nel marmo la memoria in due iscrizioni state allora poste
in sul luogo:
URBANUS
VIII PONT. MAX.
VIAM HANC FONDINARUM USUI
ET PUBBLICAE COMODITATI APERUIT ET STRAVIT
ACMONTEM LEONEM CASSIAM
ET NURSIAM PROTENDIT
ANNO SALUTIS MDXXXIV
URBANUS
VIII PONT.MAX.
INVENTIS ET RECLUSIS IN UMBRIAE FINIBUS
PROPE MONTEM LEONIS FERRI FONDINIS
AEDIFICIUM ET FORNACEM AD EXCOQUENDAM MATERIAM
ET FERRUM FUNDENDUM
EXCITAVIT
PONTEM EXTRUXT AC VIAM EXPORTATIONI IDONEAM
STRAVIT ANNO SALUTIS MDCXXXIV
PONTIFICATUS XII
Mentre
due medaglie, ne diffondevano per ogni dove la celebrità.
La miniera presentò grandi vantaggi alla camera Apostolica
sicchè accrescendosi sempre l’attività
nello scavare, il massimo
prodotto s’ebbe nel Pontificato di Clemente IX, caonde
si rende più probabile la tradizione, in Monteleone
mantenutasi costante, che tra gli altri cospicui lavori a
cui fu usato questo ferro, si abbia a numerare ancor quello
dei grandi cancelli, coi quali il nominato Pontefice chiuse
il portico del Pantheon. Che negli edifici del Vaticano si
adoperasse, ella è cosa che non può mettersi
in questione.
Duravano tuttavia i lavori con esito sempre soddisfacente
quando nell’anno 1703 sopravvenne il funesto terremoto,
che desolò tutta la contrada d’attorno non lasciando
intatto edificio alcuno, con grande spavento e miserabile
fine di molte persone.
In quel disastro ruinò la “parata” del
fiume, e tornò al naturale suo corso. Così mancavano
le acque che formavano il vento del forno; e tra questa essenzialissima
mancanza, tra per essere l’opificio guasto e ruinoso
in diverse sue parti, i lavori del ferro furono sospesi.
Ma il Pontefice Pio VI desideroso di promuovere quanto tornar
potesse ad utili dello stato e a gloria del suo Governo, propose
il Cardinale Filippo Carandini, prefetto della Congregazione
del Buon Governo, di rimettere nuovamente in attività
questa così celebre miniera di Monteleone.
Fatta scrupolosa ispezione del tutto, e conosciuto il vantaggio
che dalla ripristinazione dei lavori e dello scavo era per
conseguirsi, commise il Papa al Carandini medesimo la cura
dell’opera, e l’opificio venne con tal mezzo ristabilito.
Se non che, ebbe indi a non molto riuscirgli dannoso il mutamento
che sopravvenne nelle sorti d’Italia per opera dei repubblicani
di Francia. Pure il nuovo governo, che per brevissimo e difficil
tempo si vide sorgere in Roma, ebbe pensiero delle miniere
di Monteleone, dove andava il celebre geologo Scipione Breislak,
creato ispettore dei lavori mineralogici.
Ogni provvedimento restò per l’altro senza effetto,
prima per la caduta di quel Governo, poi per le gravi circostanze,
che non permisero al nuovo Pontefice Pio VII di estendere
le sue cure né alla miniera, né all’opificio;
che poi trasandato e rimasto bersaglio alle ingiurie del tempo,
per non dire a quello degli uomini nei notissimi avvenimenti
delle ultime guerre, patì tutti i danni della devastazione
e dell’abbandono.
Di quella perlustrazione del Breislak, ci è rimasto
però almeno alcun frutto nel giudizio pronunziato da
quel sommo conoscitore sul ferro di essa miniera, che riconobbe
essere “dolce, di ottima qualità e malleabile”,
e di più: “che la miniera si fonde con
somma facilità, e non richiede alcuna sostanza che
ne promuova la fusione oltre il carbone”.
A questi pregi si aggiunge essere la miniera di facile scavazione,
come quella che si forma di minerale deposto dalle acque.
La onde trovasi in fondo delle valli e superficiale molto
alla terra, e si estrae a cava aperta.
Il filone si presenta più alto nel massimo punto di
profondità dove si rinvengono “stallamiti ferruginose
mammellonate”.
Ora che gli esperimenti metallurgici guidati dalla scienza
hanno fatto conoscere il miglio modo di trattare i minerali,
e che la perfezione delle macchine ne ha esteso l’uso
a tanti molteplici oggetti, l’ottima qualità
di questo ferro di Monteleone è per riuscire di uno
immenso vantaggio.
Giacchè riducendolo ai più costosi prodotti
di tale specie se ne avrà oltre ai grandi lavori, ogni
miniera di vasellame e di domestiche masserizie. E ciò
non solo con utile della salute e profitto dell’economia,
ma con emancipare ancora il pubblico dal trarre queste cose
dall’estero come non senza grave discapito nostro è
avvenuto sinora.
E’ poi questa miniera tanto opportunamente collocata,
che si trova in mezzo a vastissimi boschi, donde si trae facilmente
il combustibile, giacchè nella sola periferia di venti
miglia, non ha meno di sedicimila rubbia di macchia d’attorno”.
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L’attività estrattiva del ferro ha avuto per circa
un secolo un ruolo rilevante nell’economia locale
Le miniere di Monteleone
Ubaldo Santi
(articolo apparso su SPOLETO ’90 – Storia del territorio
- del 30 giugno 2000)
Nel territorio di Monteleone di Spoleto esistono alcuni giacimenti
ferriferi il più importante dei quali si trova alle pendici
del Monte Birbone: il suo sfruttamento risale al XVII sec., al
tempo del pontificato di Urbano VIII (Matteo Barberini, già
vescovo di Spoleto).
L’attività estrattiva e la lavorazione del ferro,
avviate per interessamento del cardinale Fausto Poli di Usigni,
hanno avuto per circa un secolo un ruolo rilevante nell’economia
di questo territorio.
Il minerale estratto veniva trasportato con carri ed animali da
soma nella ferriera di Ruscio (frazione di Monteleone). Le acque
del fiume Corno, canalizzate presso il Ponte delle ferriere, erano
utilizzate per il lavaggio e la fusione del ferro.
Per il trasporto del materiale ferroso dal Monte Birbone alla
Flaminia (quindi a Roma), viene inaugurata nel 1934 una strada
che, attraverso Montefranco, Ferentillo ed il Salto del Cieco,
unisce l’antica via consolare a Monteleone di Spoleto, Cascia
e Norcia.
Una stele eretta in prossimità di Strettura ed ora semidistrutta,
ricorda tale opera (“Arma di Papa Urbano”).
In seguito all’attivazione di una ferriera anche a Scheggino,
voluta dal cardinale Poli per la lavorazione del ferro grezzo
di Monte Birbone e di Colle Ferraio presso Gavelli, viene ampliata
la mulattiera di Val Casana per facilitare il trasporto del materiale
ferroso a Scheggino.
La storiografia locale riferisce che la cancellata del Pantheon
di Roma, è stata realizzata in questa ferriera. L’importanza
che il Papa Urbano VIII ha attribuito allo sfruttamento delle
risorse minerarie locali, è attestata da una medaglia commemorativa
del 1642.
Il disastroso terremoto del 1703, che ha deviato il corso del
fiume Corno, ha causato a Monteleone l’interruzione della
prima fase della produzione siderurgica avviata nella prima metà
del ‘600.
Gli onerosi costi di estrazione e trasporto del ferro, i rovinosi
terremoti del 1703 e del 1730 (con molte vittime) e la funesta
pestilenza del 1718 (con 105 morti a Monteleone), hanno contribuito
all’inarrestabile declino dell’industria mineraria
monteleonese.
Verso la fine del XVIII secolo si prospetta l’ipotesi di
una riattivazione dei giacimenti ferrieri del territorio di Monteleone.
Nel 1788 il card. Carandini, prefetto della Sacra Congregazione
del Buon Governo, promuove un’indagine tecnico-scientifica
e conferisce l’incarico progettuale ed esecutivo per il
ripristino dell’attività siderurgica a Monteleone
ad un ingegnere piemontese: questi redige il prospetto di un impianto
siderurgico a ciclo integrale comprendente un forno fusorio e
varie fucine per la produzione di manufatti di ghisa e ferro.
L’insediamento industriale viene localizzato sulla riva
destra del Corno, a valle del Ponte delle ferriere.
Nel 1791 si aprono i cantieri di Ruscio, ove sono presenti molti
“stranieri” (tecnici sabaudi, maestranze della Lombardia
austriaca, operai “regnicoli”).
Nel 1798, durante il breve regime repubblicano instaurato dalle
truppe francesi (Spoleto è capoluogo del Dipartimento del
Clitumno), Scipione Breislak, “Ispettore dei lavori Mineralogici”
della Repubblica romana, presenta al governo di Roma una relazione
geologica e tecnico-finanziaria sui giacimenti ferrieri di Monteleone
e sul forno fusorio di Ruscio.
Nel 1800 l’insigne ingegnere ed architetto spoletino Pietro
Ferrari redige un’interessante memoria documentata sulle
miniere di Monteleone, sulla ferriera di Scheggino e sulla nascente
industria metallurgica ternana.
Nel 1812, nel periodo napoleonico (Spoleto diviene capoluogo del
Dipartimento del Trasimeno annesso all’impero francese),
un altro insigne spoletino, Pietro Fontana, incaricato dall’Amministrazione
dipartimentale di esplorare il territorio di Monteleone nell’intento
di riattivare l’industria del ferro, scopre un giacimento
lignitifero presso il torrente Vorga, affluente del Corno.
Questa miniera di lignite viene sfruttata dall’industria
siderurgica ternana per brevi periodi, in particolare durante
le due guerre mondiali.
Nel 1918 la “Società anonima miniere lignitifere
di Ruscio” costruisce una teleferica per il trasporto della
lignite a Ferentillo: da qui a Terni il trasporto veniva effettuato
su rotaia.
L’industria mineraria di Monteleone fa parte ormai della
sua storia economica.
La ferriera di Ruscio, inattiva da circa due secoli, è
diventata un sito di archeologia industriale.
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