Chiesa e Monastero S. Caterina
di Patrizia Penazzi
E' attigua alle mura castellane.
Così don Ansano Fabbi descrive la storia del monastero nel bimestrale” Leonessa e il suo Santo”:
“Si conoscono le sue origini da alcuni documenti autentici conservati nell'archivio della Comunità e del Monastero dai quali si è desunto che nel 1310, al tempo di Clemente V, dieci monache si riunirono a professare la regola di Chiara di Norcia per propagarne l'Ordine. Esse furono: Buccia di Romano, Margherita e figlia, Jacoma de Straccione, Paolina Compita de Scagno, madonna Annetta, madonna Filippa, madonna Rosanna di Tiburzio, Ceccarella. Dalla comunità ottennero non solo il beneplacito ma anche il luogo presso le mura castellane attiguo alla cappella di S. Agnese fuori le mura spettante alla chiesa parrocchiale di S. Nicola e vi edificarono il loro ricovero più che un monastero con una chiesa dedicata a S. Caterina V. M.
Dopo cinque anni si trasferirono presso la chiesa di
S. Giovanni al Borgo in un Monastero ivi costruito a spese dell'illustrissimo D. Napoleone Gilberti che fu chiamato Monastero S. Giovanni. In seguito, non si conosce l'anno, ritornarono al primitivo Monastero.
Attualmente vi risiedono 12 Coriste, una novizia e tre converse, in tutto sono sedici a professare la regola di S. Chiara ma con l'abito agostiniano. Convivono in grande armonia e con le proprie sostanze, nonostante che il monastero abbia un pingue patrimonio.Il vescovo fu ricevuto dal confessore don Filippo Salvatori ed osservò nella sacrestia i ricchi antichi ostensori di reliquie. La chiesa è a pianta ellittica con cupola, poligonale all'esterno.
Nel 1757, il Monastero possedeva due casali a conduzione diretta.
Nel chiostro c'era un pozzo e accanto un orto. Aveva un cappellano cui dava 30 scudi annui. Vi si celebrava la festa di S. Nicola da Tolentino, S. Caterina, S. Monica e S. Agostino.
Vivevano 17 monache. Si conserva il libro delle entrate e uscite del badessato Cardelli, sottoposto ai revisori ecclesiastici.
Il Monastero, dopo lo splendore del Seicento in cui prestava anche denaro in censo con garanzia di terreni, nonostante le entrate di 550 scudi, doveva limitare le spese. La conduzione diretta era costosa. Si dovevano mantenere due buoi, due mule e i braccianti fissi”.
Don Angelo Corona parroco di Monteleone per molti anni:
“Nel 1310 cinque Monache Agostiniane, provenienti dal Monastero di S. Caterina in Norcia, chiesero al Capitolo di S. Cicala una chiesetta ed una casa nella parte bassa di Monteleone per edificarci un monastero.
Tanto la casa quanto la chiesa, erano fuori la cerchia delle mura costruite nel 1265.
Più tardi, al tempo della costruzione di Borgo e della terza cerchia di mura, chiesa e convento furono incluse nell'abitato ( la richiesta fu accolta anche per la mediazione dei Signori Priori e il 10 novembre 1310 fu stipulato l'atto di vendita per mano del Notaio Burgardo Petrianis di Monteleone).
Vi rimasero per cinque anni poi un certo Napoleone de Tiberti le trasferì al monastero di S. Giovanni.
Nella visita pastorale del Cardinale Eroli (1465) si parlò anche dei locali del convento S. Giovanni arbitrariamente presi da privati. Forse le Monache Agostiniane furono trasferite a S. Giovanni nel tempo dell'ampliamento del loro Monastero.
Con le leggi del 1866 il convento fu soppresso, i beni confiscati dallo Stato e le Monache si trasferirono a Cascia. Lo Stato italiano vendette i terreni a privati, mentre il fabbricato fu affidato al Consorzio dei Possidenti di Monteleone. Per l'incuria delle varie amministrazioni succedutesi dal 1875 in poi, l'intera costruzione del convento è andata completamente in rovina e della chiesa, stupenda costruzione settecentesca, restano soltanto le mura perimetrale, quasi a piangere una bella pagina di storia paesana”.
“L'attuale chiesa di S. Caterina, ora ridotta a rudere fu danneggiata nel terremoto del 1703, ma le Monache la ripararono subito tanto che nel 1715 era di nuovo funzionante.
La forma della chiesa è un ovoide generato da quattro triangoli equilateri intersecantesi tra loro.
Lo spazio così definito era originariamente racchiuso da una volta con quattro unghie di raccordo tra la volta stessa e le finestre aperte sul tamburo” (arch. Luigi Carbonetti).
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